Precisiamo che articoli, recensioni, comunicazioni, eventi, appuntamenti... e quant'altro vengono da noi pubblicati non in base ad una adesione ideologica o morale, ma solo se ce ne viene fatta esplicita richiesta (anche con una semplice comunicazione fatta alla nostra Redazione a scopo di pubblicazione), pur rimanendo noi liberi di soddisfare o meno i desiderata.

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La "CIVILTÀ CINESE"
e le panzane dei terzo-mondisti
di Raimondo Gatto

       «La civiltà della Cina, più o meno sotto tutti i punti di vista, è una mostruosità, non solo anticristiana, ma antiumana. Le religioni dei cinesi sono mostruose, assurde, le più ridicole del mondo.
       Il cannibalismo occupa una posizione speciale nella cultura cinese, la carne umana è stata considerata una prelibatezza. Il cannibalismo è anche una forma di vendetta consigliata da Confucio.
       Il cinese è un essere sostanzialmente egoista, non cercate in lui sentimenti d'umanità e di filantropia. Egoismo e fatalismo: in queste due parole si compendia la morale cinese.
       Il cinese è un soggetto vendicativo e allo stesso tempo impulsivo, è estremamente suscettibile.

       Nella società cinese i genitori hanno un diritto di vita e di morte sui figli, l'aborto è largamente praticato: i bambini non sono soggetti autonomi di diritto, tanto da non avere neppure diritto alla sepoltura degli adulti.
       Ogni cinese che si rispetti pratica la pederastia, che è considerata un fatto di «bon ton», un piacere elegante.
       In Cina abbondano i libri pornografici, in cui si descrivono dettagliatamente rapporti sessuali con fratelli, padri, madri e financo nonni.
       Molti figli insolentiscono i genitori con un linguaggio ignoto persino ai nostri bassifondi, ma quando sono morti, allora li venerano, perché temono le loro ombre
.
La superstizione gioca un ruolo fondamentale nella vita cinese.
       I cinesi odiano in particolar modo i convertiti cristiani, ai quali attribuiscono tutte le loro disgrazie, a causa del loro Dio; rifiutano in modo assoluto il cristianesimo, perché esso mina alle radici un certo loro modo di vivere».

Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature, corsivi
e quanto scritto nello spazio giallo sono gen
eralmente della Redazione

 

1. PREMESSA
       Nel 1947 vide la luce un testo, considerato un gioiello d'erudizione, dal titolo: Civiltà al paragone[1]. L'autore, un funzionario britannico esperto di problemi internazionali, Arnold Joseph Toynbee, tentò di abbozzare una "storia comparata" delle grandi civiltà, mettendo insieme elementi diversi, talora contrastanti, senza fornire definizioni accettabili del termine "civiltà". Privo di un apparato logico, Civiltà al paragone risultò uno zibaldone ridondante citazioni di persone luoghi ed avvenimenti vari, nel quale la sconnessione degli argomenti rende impossibile dedurre anche un labile senso compiuto. Il libro di Toynbee è un esempio di equivalenza culturale che avrebbe fatto proselitismo nel tempo.

   
        A questi accostamenti che già adombravano l'idea di una certa eguaglianza fra le varie civiltà, (diffusasi nel secondo dopoguerra) si è ora aggiunto l'ecumenismo religioso propagato dopo il "Concilio Ecumenico Vaticano II". La formulazione teorica dell'infausta dottrina che considera eguali tutte le religioni, è già chiaramente delineata nei documenti conciliari; a questa enunciazione dottrinale, in totale contraddizione con il precedente magistero fa seguito la prassi "pastorale" specie dopo gl'incontri ecumenici di Assisi (ottobre 1986 e gennaio 2002) che sono stati gli ultimi ed i più avvelenati di questi frutti. Dopo lo scandalo interreligioso di Assisi, Giovanni Paolo II affermò: "L'evento di Assisi può essere considerato come un'illustrazione visibile, una lezione dei fatti, una catechesi a tutti intelligibile, di ciò che presuppone e significa l'impegno ecumenico e l'impegno per il dialogo interreligioso raccomandato e promosso dal Concilio Vaticano II " (l'Osservatore romano, 22-3-1986).
   

 

2. Il MITO DEL BUON SELVAGGIO, ANTENATO DELL'IMMIGRATO TERZOMONDIALE
       L'insofferenza per la civiltà classico-cristiana, il gusto per l'esotico e lo stravagante, erano un fenomeno già diffuso alla vigilia della rivoluzione francese; il buon selvaggio degl'illuministi, il mito dell'uomo naturalmente buono, "perché non ancora corrotto dalla civiltà'', rendeva evidente l'intenzione di approdare ad un nuovo modello umano, cioè la volontà di costruire un uomo nuovo che professasse una nuova religione, ed incarnasse una nuova morale. La fantasia dei "philosophe" s'indirizzò verso modelli comportamentali personificati nei popoli (allora) di recente scoperta, non influenzati dal cristianesimo; in particolare le stirpi pre-colombiane, i pellerossa, indiani, cinesi, australo-malesi, e polinesiani Non è casuale che l'illuminismo del XVIII secolo, per bocca di Voltaire,[2] esalti la figura di Confucio. L'ideologia contemporanea del terzomondismo, è la lontana, ma sicura discendente di queste allucinazioni scaturite nei salotti parigini della Francia pre-rivoluzionaria, e che continuano a far vaneggiare i cervelli degli intellettuali contemporanei.

   
       La passione per l'antico Egitto, che si manifesta attraverso una letteratura grossolana ed in una truculenta filmografia hollywoodiana, indica che l' intellighentsja progressista persegue sempre lo scopo di trovare un'alternativa al modello sociale e morale del cristianesimo.
       Dopo l'inglorioso"squagliamento" del socialismo reale, il crollo del comunismo si accompagna oggi all'esaltazione dell'Islam più violento, ma anche alla meno appariscente (ma gravissima) diffusione dell'occultismo.
   
       Fra le "grandi civiltà" del passato Toynbee elenca la cosiddetta "civiltà cinese"; oggi il pericolo immediato che bussa alla porte dell'Occidente, è indubbiamente quello islamico, ma non si può escludere che in futuro, dalle forze anti-cristiane al potere, ci vengano propinati altri modelli, una volta esaurito il ciclo e la "moda" pro-Maometto. È perciò utile premunirsi per evitare un ennesimo rigurgito anti-cristiano[3] proveniente da altre pseudo-religioni, presentate come "innocue" e pacifiche.
   

 

3. LA STORIA MANIPOLATA
       Cosa sia stata la "grande civiltà cinese" lo si evince dai resoconti di viaggio dei primi mercanti e dei missionari che visitarono la Cina, nonché dalle prime osservazioni effettuate sul posto; questa è il metodo onesto ed obbiettivo per raccontare una "civiltà" (o presunta tale) per quella che essa fu veramente, escludendo ogni forzatura ideologica in chiave terzo-mondista anti-europea ed anti-cristiana.

   
       L'approccio adottato dalla storiografia moderna suppone, al contrario, quale principio indimostrato (anzi, nella realtà, contraddetto dai fatti) quello dell'egualitarismo culturale; detto approccio consiste:

       a) nel nascondere costumi o idee che, per la loro evidente ripugnanza, potrebbero infrangere il falso dogma dell'eguaglianza delle civiltà e l'obiettivo ideologico del multiculturalismo, al quale si vuole pervenire, costi quello che costi;

       b) minimizzare o falsificare quei fatti (sfavorevoli ai propri assunti ideologici) che non si possono occultare;

       c) giustificarli, se non si possono né nascondere né sminuire;

       d) ricorrere anche a sanzioni penali ("incitamento alla discriminazione per motivi religiosi, etnici, razziali" ecc.) contro chiunque avversi l'ideologia della società multietnica e multireligiosa, così da impedire che si conosca la verità.(1)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


(1)
Dogma moderno e indiscutibile! Ma, per favore, prima di mandarci in carcere, potete spiegarci perché mai la società deve essere multietnica e multireligiosa?

       La falsificazione della storia è un fenomeno diffusosi in modo massiccio nel secondo dopoguerra, quando, sotto la spinta congiunta degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica, vincitori del secondo conflitto mondiali, gli europei furono costretti ad abbandonare le loro colonie. Il primo segnale dell'abbandono (e della cacciata) lo diede il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt, che, quand’era ancora in corso la guerra ebbe contatti con il sovrano del Marocco, Maometto V; al sultano islamico egli promise la "liberazione" del Nord Africa da inglesi e francesi[4]; fu sempre Roosevelt a garantire al presidente cinese Ciang Kai Shek la "liberazione" dell'Asia, cacciando francesi, inglesi ed olandesi. [5] La decolonizzazione seguita alla sconfitta dell'Europa nella seconda guerra mondiale, trova i progenitori tra gli intellettuali che già nel XVI secolo, proponevano di lasciare il mondo abbandonato a se stesso, cioè allo stato selvaggio.
   
       Sul piano teorico si tentò di criminalizzare l'Europa, fornendo un alibi morale al disegno decolonizzatore; in ciò, i veri maestri furono i comunisti. Essi adattarono al Terzo Mondo la dottrina marxista del materialismo dialettico, quale fattore evolutivo della storia: gli sfruttati erano i popoli soggetti al dominio coloniale; gli sfruttatori, gli europei. Gli americani, privi di ogni riferimento ideologico forte[6], assimilarono inizialmente queste teorie "liberatrici", salvo poi rigettarle una volta divenuti vittime essi stessi, come accadde nella vergognosa guerra scatenata dal Vietnam del Nord contro il Vietnam del Sud.[7]
   

 

4. IL PADRE LAURENTIN: UN FALSARIO "CATTOLICO" Al SERVIZIO DEL COMUNISMO
       Ma torniamo alla Cina. Numerosi lavori ci aiutano a comprendere quale fosse la realtà del vasto Paese asiatico all'inizio del secolo XIX. Tra i diversi studi esaminati, il più esaustivo sembra essere un testo francese: Superstition, crime e misère en Chine, di Jean Jacques Matignon[8]. Lo studio del Matignon, ufficiale medico presso la legazione francese a Pechino durante la rivolta dei Boxer (1900), fu presentato dai progressisti come un campionario di luoghi comuni contro la c.d. "civiltà cinese".

   
       Appunti critici contro Matignon sono stati rivolti in particolare da Renè Laurentin (2), il teologo e mariologo di Medjugorje, la cui lunga militanza nelle file del progressismo sedicente cattolico più beceramente schierato con il maoismo, dovrebbe indurre a grande prudenza. Il maoismo del Laurentin appare evidente in una sua opera: Cina e Cristianesimo[9]. Ne trascriviamo in nota qualche passaggio, a beneficio degl'ignari parrocchiani sedotti da questo autore.
 


(2) Del sig. Laurentin, presunto e gonfiato mariologo, ci siamo occupati in questo sito nella sezione dei "carismatici", in particolare nell'articolo "Medjugorje: un falso dei carismatici !!!": Dio ci scampi e liberi da simili falsari! Chi vuole ammirare le perle di un tal personaggio non tralasci le note riportate in basso a questo articolo, in particolare la nota 9.

       Il testo del Matignon è invece obiettivo, documentato, e corredato da un pregevole sussidio fotografico; mentre, al contrario, è il sedicente "mariologo" di Medjugorje ad essere fazioso, ingiusto e prevenuto. Il testo di Laurentin si muove infatti in una prospettiva dialogica catto-maoista tipica degli anni '70, variante sinologica dell'allucinazione clerical-progressista degli anni conciliari . Laurentin si dimostra inoltre incapace di contestare le precise, puntuali osservazioni del Matignon, alle quali questo breve scritto attingerà ampiamente.
   
       Un altro autore del quale questo lavoro va debitore, è il reverendo Jean-Baptiste Aubry,[10] che soggiornò molti anni nell'Impero di Mezzo; tuttavia l'opera essenziale per intendere specialmente la religione cinese resta quella del gesuita alsaziano padre Leon Wieger[11].
   
       Non a caso anche il padre Wieger, medico, farmacista, etnologo e linguista di fama, subisce le ingiurie e le reprimende postume del progressista Laurentin.
   

 

5.CINA, UNO SGUARDO D'ASSIEME
       Esordiamo con un’osservazione-chiave dell'Aubry, riferita, si badi bene, non alla Cina comunista della cosiddetta rivoluzione culturale, bensì alla "civiltà" cinese tradizionale: "La civiltà attuale della Cina, più o meno sotto tutti i punti di vista, è una mostruosità: non solo anticristiana, ma antiumana.

   
       Le religioni dei cinesi sono mostruose, assurde, le più ridicole del mondo. I bonzi sono una classe abbietta e spregevole, ignorante, marcia. Le arti sono sconosciute. Non sono mai esistite; nelle pagode e nei palazzi, qualche figura dipinta o scolpita di demoni e di animali orribili, fantastici, pesanti. Niente idee, niente sentimenti, frasi fatte, banali da far vomitare" [12].
   
       Come si presentava la Cina ai visitatori europei del secolo scorso? A questa domanda possiamo rispondere con quanto scrive Matignon: "Il cinese, di sua natura è piuttosto tollerante, per contro egli è perfettamente incapace di comprendere il lavoro disinteressato: egli vede in ogni viaggiatore un agente al soldo dello straniero inviato per investigare sulle ricchezze dell'impero. Il cinese è un uomo eminentemente pratico, in virtù di un egoismo inveterato egli vede nello straniero solo un individuo da sfruttare. Ai nostri occhi i cinesi sono sempre gli inventori della polvere da sparo. Nonostante la loro prodigiosa antichità bisogna affermare che essi restano un popolo di bambini. La loro intelligenza accetta facilmente le cose più assurde e, nonostante si dimostri loro l'errore in cui sono incorsi, essi continuano imperterriti per la loro strada. Il cinese è un essere superficiale; si contenta delle apparenze piuttosto che della realtà delle cose; l'illusione gli basta. Egli resta assolutamente convinto dell'elevata portata della sua filosofia. Una grandissima credulità, l'inesigenza di precisione nelle idee, il gusto del mistero e del meraviglioso costituiscono un terreno propizio per lo sviluppo di superstizioni di ogni genere. La superstizione gioca un ruolo fondamentale nella vita cinese: detta la linea di condotta, sia negli affari, sia nei piaceri"[13].
   

 

6. RELIGIONE E SUPERSTIZIONI
       Matignon si avventura all'inizio, in un'ardua distinzione tra religioni tradizionali cinesi e superstizione. Stando a questo autore, le religioni alle quali attingono i cinesi, sarebbero il confucianesimo, il taoismo e il buddismo; Matignon non approfondisce la natura di queste "religioni", le quali in realtà non rimandano all'idea di un Dio trascendente. Confucianesimo, buddismo e taoismo, sono in effetti stricto sensu delle regole morali o di comportamento. La superstizione dei cinesi, secondo Matignon, sarebbe invece un "misto", un derivato di quelle tre credenze.

   
       Mentre padre Wieger, più correttamente, ritiene che la magia taoista sia a fondamento delle superstizioni cinesi, Matignon ipotizza che queste ultime non derivino direttamente da confucianesimo, buddismo e taoismo, bensì dalla loro progressiva decadenza: tuttavia non porta alcuna prova per dimostrare che sia effettivamente esistita una sorta di età dell'oro di quelle religioni, spurgate dalla superstizione.
   
       Presumibilmente le superstizioni albergarono in Cina, assieme alle tre religioni tradizionali, fin dalla notte dei tempi. L'errore di distinguere le une dalle altre è frequente in diversi sinologhi ed è stato commesso anche dal gesuita Matteo Ricci, ammiratore della letteratura confuciana.
   
        L'impressione è che più si va indietro nel tempo nella storia cinese, più si vada incontro a cose mostruose. "Il superstizioso terrore degli antichi cinesi per la divinità delle acque (Fiume Giallo), ben dimostra quale timore ispirasse ai rivieraschi, in tempo di piena, questo irresistibile vicino: per propiziarselo, gli sacrificavano periodicamente dei giovani e delle fanciulle".[14] E ancora, riferendoci all’epoca precristiana: "Nel 331 Ch'in fa prigioniero l'esercito di Wei e decapita ottantamila uomini. Nel 318 Chi'in disperde la coalizione di Wei, di Han e di Chao che avevano aiutato gli Unni, e taglia ottantaduemila teste. Nel 307 si accontenta di una decapitazione di sessantamila teste. Ma coll'avvento del re Chao-siang, le stragi saranno più sontuose; nel 293 egli batte Han e Wei e si offre, per cominciare, un bottino di duecentoquarantamila teste. Nel 275, campagna contro Wei: quarantamila teste soltanto"[15]. Per fare solo un piccolo confronto, si noti che in quello stesso torno di tempo, l'Europa aveva già conosciuto l'epopea delle guerre persiane e lo splendore della Grecia classica, l'espansione romana nella Penisola italica nell'imminenza delle guerre puniche e assistito stupefatta alla leggendaria spedizione macedone di Alessandro il Grande, con la costruzione di un vastissimo impero che giunge fino alle sponde dell'Indo[16].
   

 

7. LE SUPERSTIZIONI DEL FONG-CHOUÈ, DEL DRAGONE E DELLE SCRITTURE
       Due superstizioni stanno alla base della vita dei cinesi: il fong-chouè (o fung-shi) e il dragone. Il fong-chouè è un'entità (3) difficile da definire e ch'è disseminata fra cielo e terra: favorendo o contrariando questa presenza, la vita del cinese può diventare gradevole o irta di pericoli.

 

 

 

 

(3) Attenzione, non divinità!

       Letteralmente fong-chouè significa fuoco e acqua; ma ciò che rende ardua ogni sua comprensione da parte degli occidentali è l'idea che esso rappresenta. "Per i cinesi, un punto qualsiasi dell'Impero di Mezzo è un centro di forza, di influenze spirituali, sulla natura delle quali non si hanno che idee vaghe e mal definite, poco o per nulla comprensibili, e per assurdo, tanto più credute e temute. La minima perturbazione apportata alle cose circostanti, l'intenzione sola di operare dei cambiamenti, sia per dei lavori, sia per costruzioni, è sufficiente a modificare in bene o in male, questa influenza spirituale. Una sorta di superstizione topografica, una specie di geomanzia speciale che coinvolge ogni parcella del suolo cinese, variabile da un punto all'altro. Per i cinesi questa fantasia diventa scienza. Esistono perciò dei veri e propri "dottori" in fong-chouè; un'attività lucrativa svolta da dei veri e propri ciarlatani, che vivono dell'ignoranza bestiale dei loro concittadini"[17].
   
       Su questa superstizione del fong-chouè si fondano due momenti importanti nella vita di un cinese: la costruzione di un'abitazione e la sepoltura di un parente. Costruire un’abitazione e arredarla è impresa complicata per un cinese; tutto dev’essere accuratamente misurato affinché le piante affinché le piante e le case circostanti non gettino ombra su alcune parti essenziali della nuova abitazione. Quando muore un familiare la sua sepoltura diventa una vera e propria odissea: bisogna trovare un punto preciso perché il morto, una volta sepolto, non sia disturbato da potenze malefiche. Se il defunto infatti, non gradisce la sepoltura, il suo spirito tormenterà i vivi per il resto della loro vita. La ricerca di una tomba risulta quindi alquanto lunga e può durare dei mesi, finché il "dottore" in fong-chouè, dopo accurate e dispendiose indagini, non avrà individuato il punto esatto. In omaggio a questa superstizione, a Pechino, si vedono molte bare all'aperto o addirittura cadaveri in putrefazione, ricoperti da una semplice stuoia. Sempre a causa di questa superstizione, l'apertura di strade, la costruzione di canali o ferrovie, perfino l'impianto di pali telegrafici, risulta in Cina una fatica, se non ciclopica, di sicuro assai ardua. Il timore di turbare il sonno dei morti impediva nel Celeste Impero ogni serio progresso materiale.
   
       La credenza nell'esistenza del dragone è un'altra tipica fissazione dei cinesi: "Il dragone è un prodotto della più pura fantasia cinese. E' raffigurato come nei disegni; un animale favoloso mezzo boa e mezzo coccodrillo, con quattro arti muniti di cinque artigli. È privo di ali, ma ciò non gl'impedisce di librarsi nell'aria e di trasformarsi in mille modi diversi.
   
       È una temibile potenza polimorfa. Vi sono dei dragoni buoni e altri cattivi e dei guardiani tutelari di tutto ciò che causa una disgrazia. Ogni fenomeno cosmico, terremoto, eclissi, inondazione, è causato dal dragone; per questo, il ritrovamento di una lucertola morta, vicino ad un ponte distrutto, dà luogo a processioni onde ingraziarsi il dragone, incarnatosi in quella lucertola. Il dragone è in ogni dove, ma principalmente in terra, in cielo e nell'acqua. Si trova anche all'interno delle case, dove funge da genio protettore.
   
       Siccome il suo corpo sinuoso ha orrore delle linee diritte e affinché esso sia confortevolmente ospitato, sì fa sì che i tetti delle case abbiano quei graziosi rilievi ricurvi che ognuno conosce. La superstizione delle scritture è una delle più curiose; esiste un culto particolare per ogni cosa scritta, sia a mano che stampata. Le lettere, qualunque sia il loro significato, sono accuratamente custodite. A Pechino, vi sono degl'incaricati che girano la città per raccogliere ogni pezzo di carta scritta gettato per terra. Ogni carta viene recata in una specie di tempio, dov'è bruciata tra mille cerimonie; le ceneri sono riversate nel fiume con infiniti riguardi. La superstizione accompagna il cinese dalla culla alla tomba"[18].
   

 

8. IL SUICIDIO
       "Si potrebbe scrivere un volume di considerevole mole sul suicidio in Cina, perché crediamo essere il Paese dove questo crimine è molto frequente: esso si riscontra in tutte le classi e a tutte le età. Non bisogna cercare nella filosofia o nella religione l'istigazione al suicidio; questo gesto, presso i cinesi, non ha niente a che vedere con il suicidio «eroico» dei greci o dei giapponesi. Esso risponde a speculazioni di ordine assai meno superiori, che spingono i cinesi a «uscire dalla vita per il cammino più breve». In definitiva, togliersi volontariamente la vita risponde a una delle numerose manifestazioni di egoismo esagerato, che sono caratteristiche della stirpe cinese. Il cinese è un essere sostanzialmente egoista: qualche soddisfazione dell'amor proprio e il suo benessere personale, sintetizzano i fini della sua esistenza. Non cercate in lui quei sentimenti d'umanità e di filantropia tanto sviluppati nelle nazioni occidentali: l'altrui miseria lo lascia freddo, insensibile. Non domandategli alcuna idea elevata, come ad esempio quella di «fare il bene per il bene o compiere il dovere per il dovere». La sua intelligenza concepisce poco o nulla di una dedizione del genere. Aggiungete a tutto questo l'apatia fisica e morale, la mancanza di risolutezza nelle circostanze difficili, l'assenza di coraggio e di rassegnazione di fronte ad un'esistenza divenuta bruscamente difficile. E così, quando la vita gli diviene un peso, ecco che il cinese non esita ad abbandonarla. Egoismo e fatalismo: in queste due parole si compendia la morale cinese.

   
       L'uomo cinese non è fatto come noi; la sua sensibilità è assai meno sviluppata della nostra"[19].
   
       Da medico, Matignon non tralascia di osservare come i cinesi siano molto resistenti al dolore e capaci di giungere all'automutilazione, senza dare apparenti segni di sofferenza; e mette in collegamento tutto ciò con la pratica del suicidio. "Le idee morali dei cinesi, la loro tolleranza al dolore e pertanto la loro poca paura della morte preparano la strada ai numerosi fattori che li spingono al suicidio"[20].
   
       L'autore mostra di aver studiato a fondo la spaventosa emergenza suicidaria in Cina; ne calcola l'incidenza rispetto al numero degli abitanti; ne suddivide la casistica a seconda del sesso, delle cause e delle modalità di esecuzione. Constata che la pratica di togliersi la vita è più diffusa fra le donne che tra gli uomini. Circa il movente, nota che è più frequente il suicidio compiuto per vendetta o per rancore, seguito da quello indotto dalla gelosia o causato da collera o dispetti. Viene quindi il caso di chi si priva della vita a causa di situazioni penose, che portano al ridicolo o inducono tristezza o dispiaceri; vi sono poi le ragioni d'onore, quelle che causano una perte de face: ammanchi di denaro, pietà filiale, infedeltà coniugale, miseria, follia e superstizione.
   
       "Il motivo del suicidio per vendetta è qualche volta grave, ma frequentemente la sua futilità è tale che la nostra intelligenza di occidentali non può comprendere come una causa ai nostri occhi così insignificante possa condurre a una risoluzione del genere. Il cinese è un soggetto vendicativo e allo stesso tempo impulsivo; egli cede facilmente ai primi moti di collera o di cattivo umore. Vendetta premeditata o comportamento irriflessivo sono passioni opposte che lo spingeranno al suicidio per la stessa ragione: la soddisfazione dell'amor proprio che proviene dall'idea di poter nuocere ai nostri simili. È un cattivo affare per chi si porta dietro la responsabilità di un suicidio. Capita che un mendicante attui la sua vendetta, tagliandosi la gola davanti alla vostra porta; ma questo è uno dei casi più felici. Una bella bara, un po' di soldi ai parenti e ai magistrati e se ne può uscire senza fastidi. I soldi in Cina giocano un ruolo capitale. Un individuo si ritiene rovinato da un altro? s'impicca davanti alla sua porta. Due commercianti si fanno una concorrenza accanita: quello che si ritiene più debole, s'imbottisce d'oppio e viene a morire dentro la bottega del rivale. Chi perde una causa ed è persuaso di avere ragione, si dà la morte davanti alla casa del nemico, nella convinzione che il suo suicidio porterà alla revisione del processo e quindi alla rovina della controparte. Chi è determinato a morire è nello stato di poter rovinare la vita a chi vuole. I cinesi temono più la sofferenza che la morte e perciò la giustizia cinese ha trovato il mezzo di rendere la condizione del criminale più insopportabile dello stesso supplizio. La paura del suicidio è perciò abilmente sfruttata per regolare situazioni, soprattutto finanziarie, assai complicate; è un sistema di ricatti che riesce molto bene. Un suicidio si rivela sempre un triste affare per colui contro il quale è diretto"[21].
   
       Dicevamo sopra che un'altra, frequente ragione nel darsi la morte è la perte de face, (perdita della faccia) in altre parole il trovarsi in situazioni che comportino la perdita dell'onore, anche per futili motivi. Il cinese è estremamente suscettibile: basta rivolgergli una battuta offensiva in presenza di amici, per causare in lui un turbamento tale da indurlo al passo estremo. Il suicidio femminile è invece quasi sempre indotto da situazioni familiari di poligamia o di concubinato: in particolare dalla sudditanza, che somiglia a una terribile schiavitù, delle nuore rispetto alle suocere. La donna cinese diventa libera in età adulta, se ha generato molti maschi e se può quindi esercitare, a sua volta, una vera e propria tirannia sulle spose dei suoi figli. Anche gli stati di indigenza e la debolezza morale nel sopportare le tragedie della vita sono da ascrivere tra le cause frequenti di suicidio. Fra i metodi più usati dai cinesi per togliersi la vita, l'autore elenca l'avvelenamento, l'impiccagione, l'annegamento, l'uso di armi da taglio, lo sfinimento e il darsi fuoco.
   

 

9. L'AUTOCREMAZIONE DEI BONZI
       Poiché questa pratica non è considerata dai cinesi un caso di suicidio, è interessante esaminarla alla luce di un caso relativamente recente: i roghi dei bonzi vietnamiti succedutisi da maggio a dicembre del 1963, mentre era in corso la guerra di aggressione del Viet-Nam del Nord, contro il Sud.

   
       L'autocremazione è l'atto finale che pone termine a una vita di sofferenze e punizioni, atto che taluni bonzi hanno scelto deliberatamente di compiere; è una dipartita pubblica per raggiungere il Nirvana, e dunque un gesto del genere non ha nulla a che vedere con un gesto di protesta. Stando alla testimonianza di Matignon, in Cina, "durante la settimana che precede lo spettacolo (del rogo) tutto è messo in opera per toccare il cuore e la borsa dei fedeli"[22]. I roghi hanno il potere di rimpinguare le casse dei monasteri buddisti: perciò l'evento è ampiamente pubblicizzato da un comitato organizzatore, mediante l'affissione di manifesti, che richiamano una folla imponente. Chi vuole vedere, paga per assistere allo spettacolo. In genere i candidati al rogo sono dei bonzi vecchissimi, che hanno vissuto come anacoreti e che sono persuasi dai più giovani a raggiungere il Nirvana. In alcuni casi il rogo nasconde il trucco, perché nella catasta di legna preparata per la pira viene praticato un foro che ha lo scopo di consentire la fuga del candidato suicida, allorché si alzano le fiamme. Qualche mese dopo il "morto" riappare in giro, millantando di essere la reincarnazione di Budda.
   

 

10. L'INFANTICIDIO CINESE E GLI EUROPEI "CATTIVI"
       "Grazie all'influsso degli europei e dei missionari occidentali, l'uccisione dei bambini è formalmente proibita, ma è talmente radicata nel popolo cinese che a nulla valgono gli editti affissi in proposito per le strade di Pechino. Vittime sono soprattutto le bambine, ma anche quei maschietti che nascono con qualche malformazione, soprattutto nell'isola di Tsoung Ming. Le cause sono numerose, ma dovute principalmente alla superstizione e alla miseria. Alla base di questa orribile pratica vi è il «culto degli antenati», culto che solo i maschi possono praticare; è a causa di questa idea che, molto sovente e soprattutto nel sud della Cina, i genitori tolgono la vita alle bambine. La miseria è un fattore importante, perché allevare una femmina costa caro in rapporto al contributo che essa può portare; tuttavia nelle zone più povere, con l'avvento dei battelli a vapore, le bimbe sono ora vendute a mezzani che le inviano in città per esservi allevate come prostitute. Come sempre in Cina, la superstizione gioca un ruolo chiave: infatti gli occhi, il naso, la lingua, la bocca, il cervello dei bambini sono reputati materie organiche dotate di una grande virtù terapeutica. Succede che dopo il parto la puerpera cada ammalata e allora, per ingraziarsi gli spiriti[23], le bimbe, o in certi casi i bimbi, sono soppressi. Esistono delle donne (sages-femmes) che hanno il preciso compito di procurare la morte alle neonate.

   
       Ordinariamente il crimine è deciso da un consiglio di famiglia ed è perpetrato subito dopo il parto, incaricandone appunto una di queste sages-femmes (mammana) I neonati sono soppressi o buttandoli in un angolo dell'abitazione o nella cassa dei rifiuti; dove la polvere o le immondizie non tarderanno a ostruirne le vie respiratorie. Certe volte il neonato è deposto su di un letto e ricoperto da un cuscino, sul quale siede, quasi per caso, un assistente; altre volte è annegato in una tinozza, tenendolo sollevato per le gambine, mentre gli s'immerge la testa nel recipiente. Nella società cinese i genitori hanno un diritto di vita e di morte anche sui figli adulti, come molti esempi riferiscono; si comprende perciò che se i genitori si arrogano questo diritto sui figli grandi, la morte di un neonato non deve costare ad essi molto caro. Del resto i cinesi professano una tesi logica assai elementare, sebbene anti-sociale: «Siamo noi che abbiamo dato la vita ai nostri figli; siamo noi che gliela togliamo. Dunque che male c'è?». In Cina anche l'aborto è largamente praticato, col sistema di scaricare il feto direttamente nella fossa degli escrementi. La presenza degli europei ha limitato gl'infanticidi; tanto che i genitori preferiscono oggi abbandonare i neonati per la strada, ben sapendo che saranno raccolti da mani pietose"[24]. Ah, questi cattivi europei! Questi tremendi colonialisti!
   
       "La pietà filiale di cui tanto si parla a proposito della morale cinese, ovvero il rispetto per i genitori, ha una vera efficacia quando questi sono morti; essa permette sicuramente l'infanticidio, quando questo ha per scopo di facilitare la vita degli antenati"[25]. Ecco il testo di un editto emesso in Cina nel 1889 dal Vicerè: "Constato che nel Fo-Kien, il costume di annegare le bambine è più generale che nelle altre province. I contadini ignoranti si trasmettono l'un l'altro questa vergognosa usanza e finiscono per non trovarla più biasimevole. Appena le loro figliuole escono dal seno materno, sono tuffate in una tinozza e si dibattono gettando grida di dolore. Nulla vi è di più barbaro e di più contrario alla legge naturale. Rinnovo il mio avvertimento in un proclama speciale"[26].
   
       Quando i missionari europei giunsero in Cina si misero subito all'opera per costruire giganteschi orfanotrofi. Negli ultimi anni del XIX secolo, grazie all'influsso dei costumi europei, le autorità cinesi emanarono numerosi bandi per vietare l'infanticidio; ma questo barbaro e inveterato crimine era così radicato e dilagante che veniva sanzionato soltanto con un anno di esilio e sessanta colpi di bastone. Ancora la superstizione è la responsabile di un particolare genere d'infanticidi: quelli commessi per ingraziarsi il dragone.
   
       In alcuni paesi soggetti ad alluvioni, era usanza seppellire vivi dei bimbi per ingraziarsi gli spiriti. Si tratta di una pratica non autorizzata da nessuna delle religioni ufficiali, ma ciononostante così diffusa in Cina, da esservi liberamente tollerata. Per i costumi cinesi i bambini non sono soggetti autonomi di diritto, tanto da non avere neppure diritto alla sepoltura degli adulti. Per questo i cadaveri dei piccoli, morti di malattia o lasciati morire, o deliberatamente soppressi, sono abbandonati per le strade.[27]
   

 

11. LA PEDERASTIA E LA PEDOFILIA
      "Il quarto vizio nazionale cinese, è quello della sensualità, il più vile dei precedenti. È la passione irresistibile del godimento nelle sue peggiori forme: la ghiottoneria e la lussuria... Cibi, bevande, alcool, oppio, morfina, eroina, cocaina, tabacchi raffinati, caffè, afrodisiaci di ogni genere, tonici e stimolanti.
       Pratiche innumerevoli: avrei molto da dire su questo soggetto, ma farò meglio a tacere"
[28].

   
       "Uno dei miei vecchi amici, che conosceva bene i cinesi, affermò un giorno come fosse un assioma che «ogni cinese che si rispetti pratica, ha praticato o praticherà la pederastia».
       Benché estremamente paradossale di primo acchito, questa «boutade», occorre riconoscerlo, contiene un fondo di verità e il numero dei cinesi «che si rispettano» resta considerevole. La pederastia è, in effetti, estremamente diffusa nell'Impero di Mezzo.
   
       Tutte le classi della società vi si abbandonano con avidità, a tutte le età sia giovani che vecchi"[29]. Matignon racconta alcuni episodi disgustosi ai quali ha assistito di persona e tenta di spiegarne le cause, assimilando la pederastia in Cina a quella degli antichi greci.
       "Presumibilmente certi cinesi, raffinati dal punto di vista intellettuale, ricercano nella pederastia la soddisfazione dei sensi e dello spirito. La donna cinese è ignorante, a qualunque classe appartenga, sia essa una donna onesta o una prostituta. La pederastia è cosa che non ha nulla di straordinario in Cina e che si pratica con una certa facilità.
       L'opinione pubblica cinese resta indifferente a questo genere di distrazioni e la morale non si rivolta più di tanto; la legge cinese non ama occuparsi delle cose intime. La pederastia è considerata un fatto di «bon ton», una fantasia dispendiosa e come tale un piacere elegante. Un certo snobismo dei cinesi, simile a quello di certi ricchi europei, mantiene sull'argomento la massima discrezione. L'accusa più grave che in Cina si muove contro la pederastia, è che essa esercita un'influenza nefasta sulla vista. In Cina abbondano i libri pornografici, in cui si descrivono dettagliatamente rapporti sessuali con fratelli, padri, madri e financo nonni; per legge, questi testi non possono essere scritti in cinese, ma l'ostacolo è superato traducendoli in lingua manciù. La prostituzione maschile è alimentata dal ratto dei fanciulli, che sono addestrati fino all'età di tredici anni; raggiunta quell'età, sono immessi sul mercato della prostituzione maschile.
       Quest'attività si svolge in modo semi-clandestino in apposite case, ben conosciute a Pechino"
[30].
   

 

12. GLI EUNUCHI DEL PALAZZO IMPERIALE
       "Per disposizione di legge l'Imperatore deve avere 3.000 eunuchi, i prìncipi di sangue imperiale 30, i nipoti e i figli dell'imperatore 20, i cugini 10. In Cina si diventa eunuchi per forza, per gusto, per povertà o per indolenza. L'operazione è praticata in un locale attiguo alle porte del palazzo imperiale; essa costa a ogni cliente 24 franchi. Al candidato si appresta un forte anestetico; quindi gli viene rivolta un'ultima domanda: «Siete voi consenziente?».

   
       Ottenutane risposta affermativa, con un colpo netto, pene e testicoli vengono recisi. Per evitare copiose perdite di sangue, sulla ferita è posto un piccolo cuneo di legno. La sofferenza maggiore è causata però dall'impossibilità di urinare. Dopo alcuni giorni l'ostacolo di legno viene tolto e, se l'evirato può orinare senza difficoltà, significa che non vi sono complicazioni. Per tutto il resto della sua vita l'eunuco soffrirà comunque di ritenzione urinaria e resterà soggetto a infezioni. Le parti asportate sono accuratamente conservate in una cassetta di legno con tanto di nome e cognome; quando l'eunuco muore i suoi parenti reclamano la cassetta, che viene posta nella bara, in modo che il defunto possa raggiungere integro l'aldilà"[31].
   

 

13. LA DEFORMAZIONE DEI PIEDI DELLE BAMBINE
      La deformazione dei piedi imposta alle femmine cinesi già in tenera età, fu abolita con un editto imperiale soltanto nel 1897. La barbara usanza, indotta da ragioni estetiche, consiste nel provocare una deformazione dell'arto attraverso un bendaggio, affinché sia ridotta al minimo la superficie plantare e affinché il piede assuma, nella parte anteriore, una forma triangolare.
       Ciò provoca grandi sofferenze, senza considerare l'impossibilità di camminare correttamente. Il piede, così deformato, poggia unicamente sulla faccia plantare e sul tallone, mai sul bordo interno, provocando uno squilibrio dell'asse corporeo che diviene causa d’innumerevoli cadute.
       L'operazione di fasciatura è praticata dalle stesse madri, affinché le figlie siano così pronte per il fidanzamento. Qual è, infatti, lo scopo di quest'autentica tortura? "La bellezza delle cinesi risiede in gran parte nelle estremità; secondo un poeta «un piede non deformato è un disonore». Per il marito il piede è più interessante del resto della figura. Solo il marito può ammirare il piede nudo di sua moglie. Una cinese non mostra più facilmente i suoi piedi ad un uomo, che una femmina europea i suoi seni. Mi è capitato sovente di curare donne cinesi con piedi ridicolmente piccoli, causati da piaghe ed escoriazioni, sopravvenute in seguito a un bendaggio troppo serrato. Esse avevano al riguardo, nel mostrare i loro piedi, la verecondia delle collegiali, arrossivano, cercavano in mille modi di non farsi esaminare; il pudore è questione di convenzioni e i cinesi l'hanno per i piedi.
       Si pretende che questa deformazione ottenga il risultato di sviluppare le cosce e il monte di Venere, ma la realtà è che il piede delle cinesi funge da potente stimolante sessuale. In tutte le raffigurazione oscene che ho visto, il piede è l'oggetto di maggiore attrazione. Del pari la maggiore eccitazione è data dalla vista di una femmina che cammina per strada"
[32]
       Matignon si lancia in un ardito paragone con le donne europee che impazziscono per il corsetto; tuttavia la civetteria delle donne occidentali non arriva agli eccessi dei cinesi. E comunque la fasciatura dei piedi è una pratica imposta fin dalla più tenera età e non il frutto di una scelta determinata (come può essere quella d'indossare un corsetto).

   

 

14. IL CULTO DEGLI ANTENATI
       "Circolano ancora liberamente in Europa delle idee erronee sul culto degli antenati; se ne parla spesso con entusiasmo e venerazione. È a mio giudizio un errore paragonare questo culto con il rispettoso ricordo che in Europa si ha per i defunti, deponendo fiori sulle loro tombe in determinate ricorrenze e suffragando le loro anime. In Cina non è assolutamente la stessa cosa. Qui ci s'inquieta dei morti ad ogni momento, perché la paura dei loro spiriti irritati può ostacolare i disegni dei vivi e recare loro pregiudizio. Qui lo scopo di onorarli è molto diverso: affari commerciali, calcolo, interesse. Affetto e pietoso ricordo, invece, in Europa. Il culto degli antenati ingloba la pietà filiale, una delle innumerevoli illusioni circa le qualità morali dei cinesi, che scoppia come una bolla di sapone non appena la si esamina. Di rispetto del figlio per il padre non bisogna parlare; molti figli insolentiscono i genitori con un linguaggio ignoto persino ai nostri bassifondi. La pietà filiale cinese altro non è che una deificazione dei parenti... quando sono morti. Allora li si venera, perché si temono le loro ombre; e la pietà filiale si traduce in offerte e prosternazioni davanti all'altare degli antenati. Il culto degli avi, così com'è praticato, deriva più dal taoismo che dal confucianesimo o dal buddismo; il taoismo insegna infatti che le disgrazie fisiche o sociali dipendono dagli spiriti dimenticati. La Cina intera trema davanti a questi spiriti, emanazione delle generazioni defunte e ciò ha contribuito a unificare l'Impero in una sorta di schiavitù dei vivi nei riguardi dei morti. Ecco un esempio di come queste superstiziose credenze si riflettono sull'amministrazione della giustizia. Un cinese ha ucciso un suo simile: gli dovrebbe essere applicata la legge del taglione. Ma, prima di pronunciare il giudizio, il magistrato compie un'inchiesta sulla famiglia del colpevole. I suoi parenti sono ancora in vita? È egli il primogenito o un cadetto? La morte dei suoi avi, la sua qualità di capo famiglia potrà, a seconda dei casi, salvargli la testa. Perché il giudice, tra la sanzione legale del crimine e la sua tranquillità personale, non esita in molti casi ad occuparsi di quest'ultima. A quali guai potrà andare incontro, se condanna a morte quel criminale? Nessuno si potrà occupare delle anime dei parenti defunti che, assieme a quella del condannato, andranno a ingrossare il numero degli spiriti erranti e miserabili, causa di tutti i malefici. I morti divengono così dei pensionati, non a rendita fissa ma perpetua. Dall'alto vedono e giudicano gli uomini, li ricompensano raramente, li puniscono frequentemente. Le loro qualità morali sono piuttosto negative e lo spirito di vendetta prevale sulla carità. Si potrebbe dire che tutti gli dei della Cina, grazie al culto degli antenati, sono degli uomini deceduti; i cinesi lo sanno e perciò, come gli uomini, sono sensibili alle lodi e al buon trattamento"[33]. Ricordiamo in proposito le grandi precauzioni adottate dalla Chiesa, per impedire che i cinesi convertiti al cristianesimo continuassero a praticare questa pericolosa superstizione. Il Papa Clemente XI proibì espressamente ai cattolici cinesi il culto degli antenati (1704), interdizione purtroppo annullata da Pio XII nel 1939, sotto la pressione dei modernisti.
       Eppure "i cinesi odiano in particolar modo i convertiti cristiani, ai quali attribuiscono tutte le loro disgrazie, a causa del loro Dio. Il cinese è tollerante in fatto di religione, ma rifiuta in modo assoluto il cristianesimo, perché mina alle radici un certo modo di vivere.
       «Onora il padre e la madre», dice la Bibbia; ma questo precetto riguarda i vivi. Ai cinesi ciò che interessa sono soprattutto i morti. L'affermazione di Cristo «lasciate che i morti seppelliscano i morti», suscita nei cinesi una profonda indignazione"
[34]. Fu in questo contesto di odio antieuropeo, ma soprattutto anticristiano, che nel 1900 esplose la rivolta dei Boxer; almeno cinquantamila cinesi convertiti vi persero la vita. Spiegare questo massacro con motivazioni di ordine puramente socio-economico, come hanno fatto i marxisti per giustificare la rivolta, è un affronto alla verità. L'insurrezione partì infatti dalla corte di Pechino, in particolare dall'Imperatrice Tzu Hsi e dai mandarini, per lo più confuciani o taoisti, guidati da feroci monaci buddisti[35].

 

 

 

15. IL CANNIBALISMO E LA "CELEBRE" MEDICINA CINESE
      Il giudizio del gesuita padre Wieger circa gli eccessi causati dalla ghiottoneria dei cinesi, trova conferma in un testo recente, firmato dal giornalista americano Jasper Becker.[36] L'autore, descrivendo casi di antropofagia verificatisi durante la «grande fame» causata dalla folle politica collettivista di Mao-Tse-Tung, fa un'insospettabile ammissione a proposito del cannibalismo nella storia cinese. "In Cina — afferma Becker — il consumo di carne umana non si limitava ai periodi di carestia; anzi, uno studio sull'argomento ha concluso che il cannibalismo occupa una posizione speciale nella cultura cinese. L'accademico americano Kay Ray Chong ne ha riscontrato numerosi riferimenti nella letteratura, nei documenti storici e nei testi medici cinesi, in uno studio dal titolo «Cannibalism in China» (Longwood Academic, Wakefield, 1990). In molti periodi della storia cinese, la carne umana è stata considerata una prelibatezza. Lo scrittore Dao Qingyi (dinastia Yuan) raccomanda la carne dei bambini come un'ottima pietanza. La letteratura cinese abbonda di racconti sul cannibalismo praticato per puro piacere. Ai tempi della dinastia Ming alcuni eunuchi tentavano di riacquistare la virilità cibandosi di cervella umane.
       Durante l'ultima dinastia cinese (Qhing), numerosi resoconti occidentali testimoniano la credenza cinese secondo cui bere sangue umano aumenterebbe l'appetito sessuale. Le donne con un marito impotente acquistavano pane intinto nel sangue del condannato.
       Durante la rivolta dei Tai Ping (1850-1864) entrambe le parti in conflitto mangiavano il cuore dei prigionieri. I soldati cinesi di stanza a Taiwan, prima della guerra sinogiapponese (1894-1895) acquistavano al mercato e mangiavano la carne degli abitanti locali. La storiografia abbonda di esempi di re e imperatori che hanno ucciso e poi mangiato i nemici. Il cannibalismo è anche una forma di vendetta consigliata da Confucio, secondo il quale non era sufficiente osservare il lutto per un genitore assassinato; nemmeno uccidere era sufficiente. I nemici andavano interamente mangiati, ossa, carne, cuore e fegato compresi. Nel diciannovesimo secolo lo scenario non era cambiato granchè. James Dyer Ball in
Things Chinese (Cose Cinesi) racconta cosa avvenne quando gli abitanti dei villaggi cantonesi entrarono in conflitto sui diritti dell'acqua nel 1895. Dopo diversi scontri armati, i soldati fatti prigionieri furono uccisi.
       Dopodiché cuori e fegati furono spartiti e mangiati e al banchetto parteciparono anche dei bambini. In tutta la storia cinese il cannibalismo era inoltre estremamente diffuso in tempo di guerra. Non solo rappresentava l'ultima risorsa per gli abitanti assediati all'interno di città o fortezze, ma gli stessi prigionieri di guerra o i nemici uccisi divenivano spesso la principale fonte di nutrimento. Sotto l'imperatore Wu Di (502-549 d.C.) i prigionieri erano tenuti in gabbia e venduti e al momento in cui c'era una domanda di carne, venivano liberati, uccisi, arrostiti e mangiati. Ogniqualvolta avveniva un’esecuzione […] nel secolo scorso non era infrequente che il boia mangiasse il cuore e il cervello dei criminali. I traditori venivano fatti pezzi e messi in salamoia; in alcuni casi il vincitore di un combattimento costringeva il nemico a bere un brodo fatto con il corpo del padre o del figlio".
[37]
       E la grande "medicina" cinese?
Eccola. “Esistono testimonianze risalenti alla dinastia Song (420-479 d.C.) che illustrano come pratica comune l'asportare con una lama una parte del proprio corpo per nutrire un anziano particolarmente riverito. Spesso la nuora si tagliava un frammento della gamba o della coscia per fare una minestra con cui nutrire la suocera malata, una pratica talmente frequente che lo Stato dovette emanare un editto per proibirla"[38].

 

 

 

16. L’OPPIO
       I cinesi hanno sempre consumato l'oppio come sostanza stupefacente. È un falso clamoroso quello secondo il quale la droga estratta dal papavero sarebbe stata imposta ai cinesi da trafficanti inglesi. In realtà "accadde questo; l'oppio, che in Europa alla fine del settecento era ancora prevalentemente usato come medicinale, era invece già diffusissimo in Oriente, e in particolare in Cina, come sostanza stupefacente"[39]. Un editto imperiale dell'anno 1800, ne proibì il consumo e il commercio, alimentando così una colossale rete di contrabbando, della quale approfittarono gl'inglesi. Dal che si scatenò nel 1842 la famosa "guerra dell'oppio".
       Un'imputazione che si rivolge di frequente alla colonizzazione europea in Cina e in Indocina, è quella di "scarsa integrazione" fra coloni europei e nativi. Vi è però un serio motivo che spiega bene la scarsa socializzazione che vi fu tra francesi e indocinesi e che torna, ancora una volta, a tutto onore degli europei: era la costumanza in Viet-Nam (ma anche in Cina) che imponeva di offrire agli ospiti dell’oppio da fumare. Rifiutare la pipa d'oppio voleva dire rompere ogni possibile relazione sociale con gl'indigeni; dire di sì, significava accettare di diventare tossicodipendenti. Proprio per questa ragione erano mal considerati dall'amministrazione francese gli europei che frequentavano assiduamente gl'indigeni.[40]

   

 

17. CONCLUSIONE
       Giovanni Paolo II il 24 ottobre 2001 ha chiesto scusa ai cinesi[41] per presunte ingiustizie (4) che sarebbero state commesse dagli europei e dai cristiani a danno di quel popolo: scusa di che? Forse di aver salvato milioni di vite umane innocenti? Forse di aver portato la luce della Fede, in un mondo di superstizioni e di barbarie? È ora di finirla con questo meaculpismo terzomondista, storicamente errato oltre che dal punto di vista della Fede autentica, anche dal punto di vista psicologico. Esso affonda le sue radici nella rivoluzione scatenatasi dentro la Chiesa a causa del nefasto concilio vaticano II. Ma la verità ora lentamente emerge dal buio in cui la pazzia conciliare e le menzogne dei cosiddetti progressisti l'avevano confinata. E, a dispetto di quarant'anni di cattocomunismo, le enormi benemerenze naturali e soprannaturali accumulate dalla Chiesa Cattolica e dagli Stati dell'Europa cristiana nella civilizzazione delle barbare genti non possono più essere taciute.

R.G.

 

 

 

(4) Senza specificare quali!

[1] Toynbee Arnold Joseph, Civiltà al paragone, Bompiani 1949.
[2] Voltaire, Entretien chinois, in Oeuvres, tomo 27, pag.20.
[3] Si assiste con preoccupazione alla "caccia al cristiano" in alcuni stati della Repubblica Indiana, ma anche la persecuzione avviata dai buddisti nel Buthan, in Cambogia nel Laos e nello Sri Lanka.
[4] ) Gli Stati Uniti, per diffondere la bontà della decolonizzazione nella Tunisia francese, delegarono questo compito al potente sindacato mafio-odorante AFL CIO, che costituì a Tunisi una filiale, nel 1951.
[5] ) Chang, Kai Shek già allievo dell'Università di Mosca negli anni 20, fu gratificato "dittatore di destra" solo dopo la vittoria di Mao nel 1949 e la fuga di Chang nell’isola di Taipei. (Cina Nazionalista). Ovviamente Roosevelt glissò sul fatto che la più grande potenza coloniale europea era l’Unione Sovietica.
[6] ) L'unico riferimento "ideologico" degli americani in funzione anti-coloniale, fu la memoria del "Boston Thea Party" del 1773, cioè il saccheggio delle balle di tè trasportate dai vascelli inglesi; le navi degli "oppressori". A questo gesto dimostrativo, seguì la guerra dei coloni americani contro la Gran Bretagna; essa terminò nel 1776 grazie all'intervento del Parlamento di Francia e di Luigi XVI, a fianco delle colonie ribelli.
[7] Sono spaventose le responsabilità del "progressismo cattolico" nella vittoria del comunismo Nord Vietnamita contro il governo del libero sud. I progressisti di tutto il mondo, scatenarono una ignobile campagna contro il presidente cattolico del Sud Vietnam, Ngo-Dinh-Diem, ucciso a tradimento nel 1963. Il cattolicesimo vietnamita era troppo “trionfalista” per essere gradito ai potenti "Padri " riuniti a Roma, e manovrati dai neo-modernisti al Concilio. Leggasi a proposito i due libri di Padre Piero Gheddo : Cattolici e Buddisti nel Vietnam- Vallecchi 1968, e Vietnam, Cristiani e Comunisti SEI, 1975.
[8] Matignon Jean Jacques, Superstition, crime e misère en Chine. Ed .Storck. Lyon 1902.
[9] Laurentin Renè, Cina e Cristianesimo. Editrice Città Nuova 1981. ECCO UN INTERESSANTE CAMPIONARIO DI "CATTO-MAOISMO" D'EPOCA, A RIPROVA DELLE BUONE RAGIONI DEI TRADIZIONALISTI CATTOLICI CHE DENUNCIARONO LE FOLLIE DIFFUSE DAI PROGRESSISTI, RENE' LAURENTIN NON ERA UNO QUALUNQUE… “C'è un universalismo cristiano e c'è anche un universalismo della Cina […] Ma, soprattutto, la Cina ha una mira universale come movimento di liberazione. Essa si apparenta sotto questo aspetto con la Rivoluzione francese, seminatrice di un ideale di libertà, di uguaglianza, di fraternità […]. L'attuale Rivoluzione cinese ha un carattere non meno pregnante e certamente più mondiale della Rivoluzione francese, di cui Giovanni XXIII ha convalidato le acquisizioni: i famosi «diritti dell’uomo» della Pacem in terris” (op. cit. p. 246). “Il Vaticano II ha aperto la via al dialogo e alla comprensione degli atei sulla base della constatazione seguente: l'opposizione a Dio non si rivolge che a immagini caricaturali di Dio. […]
       Paolo VI ne ha profetizzato il superamento nel suo ultimo discorso al Concilio (7 dicembre 1965):
l'umanesimo laico e profano è apparso nella sua terribile statura. Ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto uomo s'è incontrata con la religione – perché ce n'è una – dell'uomo che s'è fatto dio. Che è capitato? Uno choc? Una lotta? Un anatema? Poteva capitare. Ma non è capitato. […] Una simpatia senza limiti l'ha [il Concilio] permeato tutt’intero… Noi pure, Noi più di chiunque altro, Noi abbiamo il culto dell’uomo (5) (op. cit. pp. 259-260). “Se la Cina marxista è allergica alle rappresentazioni oggettivate della trascendenza (estranee alla cultura cinese) essa ci dà una lezione nel senso di ciò che il Vangelo chiama grano seminato in terra. (6) Essa assume le realtà terrene.
       
[…] È necessario aggiungere che la Rivoluzione cinese presenta una dimensione religiosa? […] Questa conversione è «religiosa» nel senso in cui religione (dal latino re-ligare) significa un legame che riunisce una comunità umana e ne orienta il fervore verso una comunione, gravida di un senso e di un avvenire che la trascende. La tesi di Teresa Chu, religiosa cinese, sulla dimensione religiosa nel pensiero di Mao Tse-tung, presentata all'Università di Chicago, potrebbe essere illuminante (7) su questo problema fondamentale"(op. cit. pp. 264-265). "Quanto al marxismo, Giovanni XXIII invitava a distinguere dottrina e movimento, con una fiducia aperta sull'avvenire" (op. cit. p. 267). "Il Vietnam. Un regime rivoluzionario comunista vi incontra per la prima volta una Chiesa post-conciliare, la cui linea ufficiale non è il rifiuto della società socialista, […] ma una proposta spontanea di collaborazione alla costruzione della società nuova. […] Questa è stata dalla fine della guerra, la dottrina di Monsignor Binh, arcivescovo di Saigon, e della Conferenza Episcopale del Vietnam del Sud (8). […] Il Padre Bao, […] vietnamita riferisce sulla partecipazione dei cristiani alla vita dei «cantieri socialisti» in cui sono integrati. La fede è messa in questione, non da attacchi antireligiosi, ma dalle virtù veramente esemplari ed evangeliche, vissute da altri, senza alcun riferimento al Vangelo, ma per lo più atei (9). La prassi rivoluzionaria [comunista] forgia personalità evangeliche sotto i nostri occhi (10) […] La scuola socialista dei cantieri agricoli […] ci educa (11). Parallelamente ad effetti economici, valori spirituali, fondamentalmente evangelici (12), vi sono promossi (op. cit. pp. 306-307).
       “Un gesto come quello della Chiesa del Vietnam, che ha apertamente proposto al governo la sua cooperazione leale per la ricostruzione del paese secondo un modello socialista
(13), non era pensabile prima dell'ultimo Concilio" (14) (op. cit. p. 178). "Secondo Mao Tse-Tung: non c’è altro amore che l'amore di classe. Coloro che si tengono sulla frontiera non saranno perdonati […]. Positivamente, la Cina ha saputo promuovere un altruismo effettivo e costruttivo, ha realizzato l'edificazione e l’unità del popolo.
       E questo altruismo non è limitato alle frontiere della Cina. Vuole essere un modello
(15) per il Terzo Mondo e per il mondo intero, in cui i paesi oppressi devono trovare il loro posto e la loro integrazione. Ora è appunto in questo senso che la Chiesa del Concilio e del post-Concilio ha orientato le risorse dell'amore cristiano. […] Un'analogia tra la rinuncia che l'amore cristiano esige e la rinuncia che richiede la Rivoluzione cinese" (op. cit. pp.268-269). "L’analogia che colpisce di più è quella di un progetto di liberazione che fa pensare a quello dell'uscita dall'Egitto secondo l’Esodo. È in questa linea che Louis Wei diceva: Per me, Mao è Mosè. Molto suggestiva è la convergenza di questo progetto con quelli che s'impongono nella Chiesa post-conciliare. L’Assemblea latino-americana di Medellin si proponeva di realizzare un nuovo Esodo: la liberazione dei poveri su questo continente" (op. cit. p. 276). "Coloro che hanno conosciuto le prigioni cinesi sono stati certamente traumatizzati […]. Non si tratta di disconoscere che vi sono state qua là prove atroci, morti violente di preti e di cristiani. Molte testimonianze provano che ve ne sono state, senza peraltro che si possano fare statistiche. Queste violenze dipesero non da una dottrina o da princìpi stabiliti, ma da incidenti, (16) come se ne verificano in tutte le rivoluzioni e liberazioni, compresa la Francia del 1945" (op. cit. p. 83). "I custodi cinesi non sono dei bruti sadici, ma degli educatori e dei confessori (17). Per loro, un uomo è una ricchezza che non bisogna dilapidare. […] Sono incorruttibili" (op. cit. p. 82). "L’apostolo Paolo parla dell’uomo nuovo in un senso in cui precisamente «non c’è più né uomo né donna» (Gal. 3, 28) il che concorda con il progetto di liberazione delle donne in Cina (18). […] Oggi, anche in campagna, non è raro vedere gli uomini occuparsi del focolare e dei bambini, mentre le loro spose si dedicano a un lavoro produttivo (19)"" (op. cit. pp. 278-279). "La conversione che la Cina può ispirare alla Chiesa è una conversione alla realtà, al di là delle tentazioni (20) idealiste e spiritualiste" (op. cit. p. 292). "Nell’ora in cui tanti cristiani non vogliono più sentir parlare di morale e di sacrificio […] la Rivoluzione cinese ha coltivato rigorosamente l'onestà, il civismo, l'ubbidienza (21). […] La Rivoluzione [attenti alla maiuscola!] ha soppresso la prostituzione. L'omosessualità è punita con la morte […] L'adulterio è severamente punito. (22)
      
 […] Le relazioni prematrimoniali non sono ammesse.
       La masturbazione
[…] non è ammessa in Cina, né per gli uomini, né per le donne. I mezzi suggeriti si allineano a quelli degli educatori cattolici tradizionali (23): lavorare senza sosta, giungere molto stanchi all'ora di dormire, alzarsi presto e soprattutto «studiare il marxismo-leninismo e le opere del Presidente Mao» (24). Non è una morale dei princìpi assoluti che si coltiva in Cina, è un'etica realista dell'efficienza rivoluzionaria. Se la Cina limita le nascite con l'ascesi, essa utilizza anche i contraccettivi e l'aborto (25)" (pp.287-289). "La lunga marcia, in virtù della quale 850 milioni di Cinesi sono usciti da una miseria secolare (26), è divenuta un segno. Il suo impulso è, letteralmente, «una fede (27) da trasportare le montagne», secondo la formula del Vangelo, risorta in Mao Tse-Tung" (op. cit. p. 291).
[10] Aubry Jean-Baptiste, Les Chinois chez eux. Ed. Desclée De Brouwer. Lille 1892.
[11] Wieger Leon S.J., Histoire des croyance e des opinions philosophique en Chine. Sienshien 1917.
[12] Aubry Jean-Baptiste, op. cit., pp.135-136.
[13] Matignon Jean Jacques, op. cit., pp 1-5. Si noti che Matignon, di formazione liberale, era tutt'altro che cattolico praticante.
[14] Renè Grousset, Storia della Cina. Mondadori. Milano 1946, p. 15.
[15] Renè Grousset, op. cit., p. 47.
[16] Ristabilita l'egemonia macedone sulla penisola ellenica, Alessandro Magno, vendicando i tentativi persiani d'invadere la Grecia (nel 490 e 480 a.C.) si lancia alla conquista dell'Oriente e nei primi mesi del 334 a.C. varca l'Ellesponto con 30 mila fanti e 5 mila cavalieri. Dopo le vittorie di Granìco (maggio 334), di Isso (novembre 333) e di Gaugamela (1° ottobre 331) entra in Persepoli (330). L'immenso impero persiano del Gran Re è ai suoi piedi. Nel 327-325 a.C. guida la spedizione in India. Muore a Babilonia, a soli 33 anni, il 13 giugno 323.
[17] Matignon Jean Jacques, op. cit., pp. 4-16.
[18] Matignon Jean Jacques, op. cit., pp. 18-28.
[19] Matignon Jean Jacques, op. cit., pp. 67-68.
[20] Matignon Jean Jacques, op. cit., pp. 69-70.
[21] Matignon Jean Jacques, op. cit., pp. 89-91.
[22] Matignon Jean Jacques, op. cit., p. 150.
[23] Gli spiriti degli antenati, appunto.
[24] Matignon Jean Jacques, op. cit., pp. 156-154.
[25] Matignon Jean Jacques, op. cit., p. 168.
[26] Matignon Jean Jacques, op. cit., p. 177.
[27] Di questa orribile pratica, si trova una fuggevole traccia anche in una nota del citato libro di Laurentin: "Le femminucce non contano in Cina, talora si uccidono. Il più delle volte ci si disfa di loro semplicemente non prestando ad esse le cure necessarie" (Laurentin Renè, Cina e Cristianesimo, cit., p. 73).
[28] Wieger Leon S.J., op. cit. p. 753. Chi invece non tace è il Matignon, come dimostra il passo che segue nel testo.
[29] Matignon Jean Jacques, op. cit., p. 185.
[30] Matignon Jean Jacques, op. cit., pp. 187-205.
[31] Matignon Jean Jacques, op. cit., pp. 247-268.
[32] Matignon Jean Jacques, op. cit., pp. 270-283.
[33] Matignon Jean Jeacques, op. cit. p. 290.
[34] Matignon Jean Jacques, op. cit., pp. 286-329.
[35] Cfr. C. Dragoni, La meravigliosa vita di Tzu Hsi, Imperatrice della Cina. Mondatori, 1944, cap. XX. L'assassinio dell'ambasciatore di Germania, scatenò la reazione punitiva del Reich tedesco, sotto il comando del conte Waldersee. La corte imperiale fuggì nello Shensi e l'anno successivo siglava un trattato che fissava le riparazioni cinesi.
[36] Becker Jasper, La Rivoluzione della Fame. Cina 1958-1962: la carestia segreta. Il Saggiatore. Milano 1998.
[37] Becker Jasper, op. cit., pp. 183-184.
[38] Ibidem.
[39] I. Montanelli - M. Cervi, Le guerre dell'oppio, in Due Secoli di Guerre. Editoriale Nuova. Milano 1982. Vol. VI pp. 6-7.
[40] Jean Dorsenne, Faudra-t-il evaquer l'Indochine? Édition Nouvel Société. Paris 1932, pp. 43-46.
[41] Il 24 ottobre 2001 Giovanni Paolo II ha inviato un messaggio ad un convegno che si apriva quel giorno a Roma e dedicato al gesuita padre Matteo Ricci. Nel testo, divulgato alla stampa, Wojtila risponde alla richiesta che Pechino aveva rivolto nell'anno giubilare alla Santa Sede di fare ammenda per la complicità storica tra cristianesimo e dominazione straniera sulla Cina. E, umiliando la Chiesa e la Cristianità, dà un'inutile soddisfazione all'immenso orgoglio nazionalista della Cina e della Cina comunista in specie.
       «La Storia, scrive Giovanni Paolo II, ci ricorda purtroppo che l'azione dei membri della Chiesa in Cina non è stata sempre esente da errori […] ed è stata per di più condizionata da situazioni difficili, legate ad avvenimenti storici complessi e ad interessi politici contrastanti. […] In alcuni periodi della storia moderna, una certa "protezione" da parte di potenze politiche europee non poche volte si rivelò limitativa per la stessa libertà d'azione della Chiesa ed ebbe ripercussioni negative per la Cina».
       Giovanni Paolo II cita anche le dispute teologiche che opposero la Chiesa di Roma ai riti cinesi: «Sento profondo rammarico per questi errori e limiti del passato, e mi dispiace che essi abbiano ingenerato in non pochi l'impressione di una mancanza di rispetto e di stima della Chiesa cattolica per il popolo cinese, inducendoli a pensare che essa fosse mossa da sentimenti di ostilità nei confronti della Cina. Per tutto questo chiedo perdono e comprensione a quanti si siano sentiti, in qualche modo, feriti da tali forme d'azione dei cristiani». Naturalmente il mea culpa cinese di Giovanni Paolo II non è servito proprio a nulla: il 25 ottobre 2001 il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Sun Yuxi ha infatti ribadito le condizioni poste alla ripresa del dialogo con la Santa Sede: rottura delle relazioni diplomatiche con Taiwan, che Pechino considera parte del proprio territorio nazionale e rinuncia a intervenire negli "affari interni" cinesi. "Abbiamo sottolineato che (il Vaticano) non può interferire con gli affari interni della Cina usando il pretesto delle questioni religiose".
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



(5) e non di Dio! E tuttavia c'è qualcuno che vorrebbe far beato Paolo VI !

(6) Quindi, secondo Laurentin, la Cina marxista è quel terreno buono che fa fruttare il seme. Che grande marxista questo prete!

 

 


(7) Grazie, NO! Di simile illuminazione facciamo volentieri a meno!

 

 

 



(8) Con le conseguenze che tutt'ora si possono ammirare...

 

 

(9) Un rivoluzionario non potrebbe esprimersi meglio
(10) Questa prassi ha forgiato anche Laurentin?
(11) Si vede che Laurentin è stato educato a quella scuola...
(12)Vangelo secondo Marx, ovviamente...

 

(13) E perché non secono un modello cristiano?
(14) Ne siamo più che certi!

 



(15) Ecco un prete che propone come modello il marxismo di Mao! Che grande prete!

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

(16) Basterebbe questa giustificazione per qualificare Laurentin maoista e marxista!

 


(17) Il marxismo è una... religione!


(18) Noi non ci saremmo mai arrivati! L'apostolo Paolo profeticamente pensava a Mao!
(19) La confusione dei ruoli!

(20) Ne nos inducas in tentationem! Anche Cristo (secono Laurentin) parlava della realtà cinese (maoista ovviamente)!

(21) Strano, noi sapevamo che aveva coltivato solo la dittatura...

(22) Quante cose belle ha fatto Mao con la sua rivoluzione e in poco tempo! A Cristo non sono bastati 1900 anni!
Perché Laurentin incensa ed esalta tanto Mao? Non è che l'ha scambiato per il Padre Eterno?
(23) Questo paragone ci offende.

(24) Che grande studio! altro che studiare Vangelo, vite di Santi, di mistici...

(25) Qui Laurentin non l'abbiamo capito: ci vuol dire che dobbiamo anche noi prendere i contraccettivi e praticare l'aborto?
(26) Sarà vero? e se lo è, che fine ha fatto quel "non di solo pane vive l'uomo?
(27) Fede in chi? in Mao?

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